Onorevoli Colleghi! - Con la presente proposta di legge si vuole creare un sistema di erogazione di prestazioni di medicina veterinaria di base in regime di convenzione. La generale spinta culturale verso una maggiore sensibilità nei confronti dell'animale d'affezione ne ha incrementato la presenza nella società italiana e ha innalzato il significato della sua relazione-interazione con l'uomo a tutti i livelli sociali. L'accresciuta considerazione giuridica dell'animale nel nostro ordinamento e gli orientamenti della giurisprudenza sono tesi a consolidare il riconoscimento dell'animale come soggetto portatore di diritti e del rapporto uomo-animale quale componente affettivamente rilevante nella vita dei cittadini-proprietari. L'animale è oggetto di tutela giuridica sia nel caso in cui sia randagio o vagante, sia nel caso in cui sia un animale «familiare», ovvero di proprietà. Ciò è particolarmente rilevante nel caso degli animali tradizionalmente d'affezione, il cane e il gatto, che risultano essere i più diffusi nella nostra società e quelli ai quali l'uomo si rivolge prioritariamente per l'instaurazione di un rapporto privilegiato e di reciproco beneficio. Si pensi, ad esempio, al loro impiego nelle terapie assistite (pet therapy), ai significati della relazione con soggetti anziani o disabili e al valore educativo riconosciuto alla relazione uomo-animale nell'infanzia. Ne è derivato un impulso allo sviluppo e alla diffusione delle scienze comportamentali applicate con particolare riferimento alla medicina comportamentale veterinaria. Da qualche decennio si tende a sostituire l'espressione «animale da compagnia» con la parola «pet». Questa ha origine da un termine anglosassone riferito a un animale che viene sollevato e curato con l'uso delle mani, con l'implicazione che un pet sia

 

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come un bambino all'interno della famiglia. Csermely e Mainardi, noti professori di biologia e zoologia, individuano nei «pet - dog» un vero concentrato di segnali infantili: testa grossa e arrotondata, orecchie cadenti, zampe tozze, superficie corporea elastica e soffice. Poiché la presenza dei pet - soprattutto cani e gatti - nella vita degli esseri umani è in constante aumento, negli ultimi quarant'anni diversi ricercatori, in particolare Mugford (1979), Kidd (1980), Cass (1980), Beck e Katcher (1983), si sono interessati ad esplorare la natura del legame tra l'uomo e gli animali, ottenendo così dai loro lavori risultati che forniscono un sostegno scientifico alla credenza comune circa l'effetto benefico del rapporto con i pet; nella relazione con le persone, i pet svolgono le seguenti attività:

          1) forniscono compagnia;

          2) danno qualcosa cui prestare attenzione;

          3) forniscono attività piacevoli;

          4) sono una fonte di costanza nei cambiamenti della vita;

          5) fanno sentire sicuri;

          6) ricambiano con giochi e facendo ridere;

          7) confortano con il contatto e sono uno stimolo all'esercizio motorio.

      Dal rapporto con i pet l'uomo ottiene, in particolare, la costanza e la possibilità di prestare attenzione ad un essere vivente. I pet e le persone si accettano reciprocamente e non si forzano con richieste morali. Il pet resta, a differenza dei bambini, senza «peccato originale» e senza il bisogno di una perfezione della crescita morale: resta il «bambino costante» fissato tra la cultura e la natura. I pet, pertanto, vengono a rappresentare una fonte di amore incondizionato e di lealtà: essi accettano la persona per quello che è senza critiche, mentre questa prova per l'animale un affetto senza ambivalenza. Per questo specifico motivo il cane, nella quotidiana interazione con gli esseri umani, ottiene benessere, soprattutto a livello emozionale in tutte le fasi del suo ciclo di vita, e ciò è confermato da approfondite ricerche su questi aspetti in particolare, svolte da studiosi e da ricercatori, quali Levinson (1962, 1972) e Sullivan (1953). Gli esseri umani, però, non solo avvertono il bisogno di essere oggetto di cura altrui, ma anche quello di prendersi cura di qualcuno e di qualcosa. Già da bambini, offrendo cibo agli animali, le persone vengono a stabilire una delle prime forme di contatto con il mondo animale e con l'esperienza del prendersi cura di un essere vivente. Nei primi anni settanta prendono il via gruppi di lavoro diretti a investigare i ruoli sociali svolti dai pet; si viene così ad evidenziare che l'interazione tra gli esseri umani e i pet può assumere per le persone funzioni di facilitazione e di sostituzione dei rapporti umani. Secondo la psicologa Efisia Tassone, la prima funzione è in relazione con l'attività del pet come agevolatore dei rapporti interpersonali del suo possessore: l'animale, infatti, aumenta la qualità e la quantità delle interazioni sociali. La seconda, ovvero la funzione di sostituzione, riguarda il grado in cui l'interazione tra gli esseri umani e i pet può essere aggiunta a quella tra le persone o, all'estremo, può costituire un'alternativa a questa. In questo tipo di relazione con gli esseri umani, gli animali coinvolti per eccellenza sono il gatto e soprattutto il cane. Tra questi due animali, infatti, vi sono delle differenze nell'esercizio di tali funzioni. Il cane, con il suo bisogno di passeggiate quotidiane e di correre all'aria aperta, rispetto al gatto, espone di più il suo padrone a contatti sociali; nello stesso tempo, per proprie particolarità comportamentali, è più disponibile a venire incontro alle esigenze degli esseri umani. Per molte persone che vivono da sole il pet viene a costituire la famiglia, poiché in base alla sua presenza esse sono portate ad organizzare la propria vita, così come fa chi ha una vera e propria famiglia. Il pet, però, non è trattato come un qualsiasi membro familiare, bensì come un bambino. L'animale, infatti, necessita di essere nutrito, dissetato, lavato,

 

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tenuto lontano dagli oggetti e dai cibi pericolosi, vestito e portato dal medico quando è necessario; tutte cose che si fanno di solito quando si alleva un bambino. Citando doverosamente la legge n. 189 del 2004, che reca norme sul divieto di maltrattamento degli animali, ad avvalorare quanto fin qui esposto possono essere ricordate anche alcune pronunce giurisprudenziali. La più recente e degna di nota arriva dalla Corte di cassazione che ha stabilito che l'animale «richiede la stessa attenzione e diligenza che normalmente si usa verso un minore». La giurisprudenza registra sempre più numerose sentenze di giudici di pace che riconoscono il danno esistenziale ai proprietari di cani per i disagi e le sofferenze patite in seguito alla perdita traumatica o al ferimento del loro animale, ciò vale a dire la peculiare rilevanza del rapporto uomo-animale nella nostra società, in un contesto culturalmente predisposto all'innalzamento della considerazione dell'animale, riconosciuto dalla deontologia medico-veterinaria come «essere senziente» sulla scorta di analogo pronunciamento in sede di Trattato istitutivo dell'Unione europea. Anche la bioetica ufficiale ha riconosciuto, attraverso i pareri espressi nella scorsa legislatura dal Comitato nazionale per la bioetica, il valore dell'impiego di animali in attività correlate alla salute e al benessere umani. Un tale contesto giuridico-sociale richiede - per la massima coerenza - che sia altrettanto consolidato il diritto alla salute e al benessere dell'animale e alla salvaguardia del rapporto uomo-animale sul piano della prevenzione veterinaria, anche in rapporto a possibili esiti zoonosici. L'erogazione di prestazioni di medicina veterinaria di base qui proposta si sviluppa su due livelli con specifiche e distinte finalità:

          a) 1o livello: verso i cani e i gatti senza proprietario per favorire una capillare pianificazione degli interventi previsti dalla legge n. 281 del 1991 (legge-quadro in materia di animali d'affezione), attraverso un impiego razionale delle risorse economico-finanziarie messe a disposizione dallo Stato, evitando enormi e inefficaci dispersioni di fondi. È nell'attuale gestione delle risorse economico-finanziarie pubbliche che si ravvisano le principali criticità: anziché realizzare investimenti inutili o sprecare risorse, la presente proposta di legge si basa sul sistematico ricorso alle strutture sanitarie veterinarie private. L'utilizzo di queste risorse è talvolta risultato scarsamente pianificato e coordinato e, pertanto, ne sono derivate esperienze di gestione occasionale, estemporanea e non esenti da inclinazioni demagogiche. La conseguenza più evidente è la dispersione delle risorse economico-finanziarie, risorse mal spese, dunque, ma anche mal destinate: secondo quanto rilevato dal Gruppo tecnico randagismo, istituito presso il Ministero della salute, le somme ripartite non vengono quasi mai destinate in via prioritaria all'erogazione di prestazioni di base sui randagi, ovvero all'iscrizione all'anagrafe e alla sterilizzazione. È più frequente assistere a investimenti incontrollati nei canili o in strutture sanitarie inutilizzate o inutilizzabili (ad esempio strutture sanitarie mobili non autorizzabili ai sensi di legge). Né si è favorita la prevenzione del randagismo con l'aumento dei fondi, incrementati con le risorse messe a disposizione dalle regioni e dalle amministrazioni locali, e non si è avuta alcuna significativa incidenza sul controllo delle nascite e sul «randagismo di ritorno» causato dagli abbandoni. Secondo i dati più recenti forniti dal Ministero della salute i cani senza proprietario sono stimabili in via presuntiva in 461.068 animali. Si tratta di cifre non confortate da riscontri precisi da parte delle autorità competenti, che denotano l'approssimazione con cui è stato globalmente affrontato il problema;

          b) 2o livello: incentivare la detenzione legale e responsabile dei cani e dei gatti di proprietà promuovendo il rispetto degli obblighi di legge, quali l'identificazione dell'animale, ancora in larga parte disattesi, e agevolando le fasce di proprietari economicamente più deboli. La medicina veterinaria di base contemplata nella presente proposta di legge si rivolge alla popolazione animale tradizionalmente

 

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convivente con l'uomo: il 41 per cento delle famiglie italiane ospita un cane o un gatto. Si stima che i cani siano 7 milioni e i gatti 7,5 milioni. Non si tratta di un progetto di «mutua degli animali», poiché non si tratta di disperdere le scarse risorse finanziarie pubbliche per aprire presìdi o ambulatori pubblici né di far entrare nelle strutture del Servizio sanitario nazionale il «paziente animale». Il ricorso alle strutture veterinarie private capillarmente presenti sul territorio realizza una rete di strutture private, autorizzate - quindi in regola con i requisiti minimi strutturali e in moltissimi casi attrezzate per prestazioni di alta qualità - da organizzare secondo un piano di coordinamento con le autorità e con i soggetti competenti. Non rientra nelle finalità del pubblico l'erogazione di prestazioni veterinarie su animali di proprietà e senza dubbio comporta difficoltà organizzative e di gestione. Le pubbliche amministrazioni (regioni, province, comuni) potrebbero invece avvalersi di una rete di strutture veterinarie private di riferimento, individuata sul territorio con la collaborazione degli ordini veterinari provinciali e delle autorità competenti al rilascio dell'autorizzazione. Il primo strumento di finanziamento è quindi da individuare, in via di principio, in un virtuoso impiego di risorse finanziarie pubbliche, evitando investimenti inutili e favorendo quelli che garantiscono un ritorno in termini di risparmio della spesa pubblica. Il secondo strumento è dato dal recupero a medio termine dei costi di cui si grava la collettività per il fenomeno del «randagismo di ritorno», ovvero l'abbandono conseguente alla mancanza di responsabilizzazione del proprietario o allo smarrimento di animali non più ricondotti al proprietario (anche in ragione di carenze nel sistema dell'anagrafe). Finanziare le adozioni o sostenere un livello essenziale di assistenza veterinaria costa meno alla pubblica amministrazione che mantenere un cane (randagio o randagio di ritorno). Il costo di mantenimento di un cane nei ricoveri è di circa 1.000 euro all'anno. Si stima che la spesa proiettata su scala nazionale sia di circa 45 milioni di euro all'anno.

      Considerato quanto esposto nella presente relazione, non è più differibile il coinvolgimento sistematico, coordinato e organizzato delle strutture veterinarie private nel sistema salute-animale. È anche incongruo e deprecabile sprecare un patrimonio di competenze (e di strutture) distribuito su tutto il territorio nazionale, mentre appare poco lungimirante non coinvolgere nel campo della sanità pubblica questi professionisti. Nel nostro Paese sono presenti circa 6.500 strutture sanitarie autorizzate, rispondenti ai requisiti minimi strutturali, tecnologici e organizzativi per l'erogazione delle prestazioni veterinarie. Tale coinvolgimento non si è ancora perfezionato. Occorre quindi consolidare la consapevolezza che le strutture veterinarie private operano anche per il soddisfacimento di obiettivi di sanità animale e di sanità pubblica. Il patrimonio di dotazione tecnico-strumentale e di professionalità clinica presente nella medicina veterinaria privata non viene così utilizzato, mentre potrebbe essere opportunamente messo al servizio di tutta la popolazione animale, delle pubbliche amministrazioni, dei proprietari-detentori e della collettività.

 

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